Neoplasie genitali

Tumore del pene

La neoplasia del pene interessa principalmente l’età adulta: il picco di incidenza riguarda la sesta decade di vita.

Tuttavia è importante porre attenzione ad un corretto stile di vita sessuale e ad un’adeguata igiene genitale. La fimosi, le infezioni (in particolare quella da Papilloma Virus – HPV) e i trattamenti ripetuti per alcune affezioni dermatologiche come la psoriasi sono comuni fattori di rischio per il tumore del pene così come il fumo di sigaretta e i rapporti (non protetti) con numerosi partner.

Pertanto, riconoscere eventuali alterazioni a carico del glande o del prepuzio (fino al 78% dei casi la localizzazione della neoplasia è in tali sedi) può garantire una diagnosi precoce. Esistono, infatti, numerose condizioni che vengono ritenute come precursori del tumore del pene quali il lichen sclerosus, la condilomatosi gigante, la malattia di Paget e la malattia di Bowen.

Fino al 95% dei casi, la neoplasia appartiene alla variante squamosa (SCC – squamous cell carcinoma). Le varianti istologiche possono avere diversa valenza prognostica in quanto dotate o meno di maggiore aggressività locale o potenziale metastatico per via linfatica o ematica.

Una corretta diagnosi poggia su un attento esame obiettivo (comprensivo delle regioni inguinali, sedi principali delle vie di drenaggio linfatico del pene).

Le indagini strumentali utili ai fini della stadiazione della malattia sono l’ecodoppler penieno e la risonanza magnetica (con iniezione intracavernosa di farmaci che inducono l’erezione) per valutare un’eventuale infiltrazione dei corpi cavernosi soprattutto nei casi in cui sia possibile procedere in maniera conservativa. Se non si riscontrano aumenti di volume o consistenza linfonodali a livello inguinale, le attuali metodiche di imaging (es. TC, RMN) non sono in grado di fornire indicazioni specifiche per l’identificazione di eventuali micrometastasi. In caso contrario, la TC addome con mezzo di contrasto è invece necessaria e potrebbe essere indicato eseguire anche un RX/TC Toracica per escludere l’eventuale interessamento di organi sovradiaframmatici.

Il trattamento della neoplasia peniena ha come obiettivo quello di rimuovere completamente la malattia e ottenere un accettabile risultato estetico senza compromissione della radicalità oncologica.

La terapia locale mediante applicazione di farmaci chemioterapici quali imiquimod o 5-fluorouracile può essere la prima scelta nei casi di carcinoma in situ (CIS), eritroplasia di Queyrat e malattia di Bowen; in alternativa, l’opzione chirurgica è rappresentata dalla circoncisione (con eventuale, in considerazione della sede di insorgenza, escissione di lesione del glande).

Nel CIS e nelle forme ad invasione superficiale (Ta,T1), le opzioni chirurgiche sono rappresentate dal “glans resurfacing” e dalla tecnica microchirurgica di Mohs.

l resurfacing del glande consiste nell’asportazione del tessuto epiteliale (strato superficiale del glande) dal tessuto spugnoso sottostante; in tale maniera, il glande viene completamente denudato e si eseguono delle biopsie profonde da ogni settore per escludere un’eventuale estensione tumorale a tale livello. Successivamente, si utilizza un innesto cutaneo per coprire il glande a fini estetici.

La tecnica microchirurgica (secondo Mohs) prevede l’escissione progressiva di strati di tessuto con analisi microscopica della superficie posteriore di ogni strato ai fini di escludere la presenza di cellule tumorali e di consentire l’asportazione di una quantità di tessuto tale da garantire un adeguata preservazione del tessuto con sicurezza dal punto di vista oncologico. In entrambi i casi è importante la corretta selezione del paziente e la disponibilità a eseguire controlli periodici frequenti per il monitoraggio della situazione locale.

In caso di forme localmente invasive localizzate al corpo spongioso del glande, il trattamento è rappresentato dalla glandulectomia totale con preservazione degli apici dei corpi cavernosi (previa esecuzione di biopsie multiple con esame istologico in estemporanea) e riconfigurazione del meato uretrale esterno a fini estetici e funzionali; flap o innesti liberi cutanei possono poi essere utilizzati a copertura degli apici cavernosi riconfigurati, in modo tale da simulare il glande. Un margine chirurgico libero da neoplasia di almeno 5 mm è considerato sicuro da un punto di vista oncologico ma il paziente deve essere ben informato sulla necessità di controlli periodici dopo l’intervento.

Il coinvolgimento dei corpi cavernosi rende invece necessaria la penectomia, che sarà parziale, subtotale o totale, a seconda del livello di infiltrazione del tumore.

Una lunghezza del pene residuo di 3 cm è ritenuta come misura minima per preservare la minzione in posizione eretta.

In casi di infiltrazione massiva, diviene mandatoria l’amputazione totale del pene e dell’uretra, con creazione di un orifizio a livello del perineo e conseguente necessità di minzione in posizione seduta.

Non meno importante è il trattamento dei linfonodi loco-regionali (inguinali) in quanto il loro coinvolgimento aumenta la possibilità di recidiva e riduce le probabilità di sopravvivenza del paziente.

Solo in caso di forme superficiali ed esame clinico-strumentale negativo, è infatti consentito limitarsi ad un attento follow-up clinico-strumentale.

In caso di tumori T1 o di alto grado, è invece indicata l’esecuzione di una linfadenectomia, mediante tecnica del linfonodo sentinella: qualche minuto prima dell’intervento, si inietta, un colorante specifico (patent blu), in prossimità del tumore. Il colorante diffonde rapidamente nella rete linfatica raggiungendo il linfonodo sentinella (che è il primo linfonodo raggiunto da eventuali metastasi tumorali) agevolmente identificato per la sua colorazione blu; si procederà, quindi all’asportazione del/i linfonod/i effettivamente colorati.

Nelle forme localmente avanzate, è opportuno invece procedere ad una linfadenectomia inguinale bilaterale.

Tumore del testicolo

Frequenza

La neoplasia del testicolo rappresenta l’1-1,5% di tutti i tumori diagnosticati nella popolazione maschile; l’incidenza in Italia è di circa 5,4 casi ogni 100,000 abitanti con prevalenza maggiore nelle regioni settentrionali rispetto a quelle meridionali.

Il tumore del testicolo è più diffuso nella fascia di età inferiore ai 50 anni, con due picchi di incidenza nella terza decade e nella quarta decade.

Il tumore del testicolo ha un eccellente tasso di guarigione grazie alla diagnosi precoce e all’elevata risposta alla radioterapiae alla chemioterapia: il 95% delle neoplasie testicolari in stadio localizzato e l’80-90% delle neoplasie in stadio avanzato risultano curabili.

Classificazione

I tumori del testicolo sono classicamente suddivisi in due sottogruppi: tumori germinali (da cellule della linea germinale) e tumori non germinali che originano da cellule stromali (cellule di Sertoli e cellule di Leydig).

  • Tumori germinali: I tumori germinali rappresentano oltre il 90% delle forme testicolari e sono suddivisibili, a seconda del tipo di cellula germinale da cui sono costituiti, in forme seminomatose (30-40%) e non seminomatose (60-70%).
  • Seminomi: originano da cellule germinali primordiali del testicolo. Il seminoma testicolare può presentarsi nella sua forma classica, nella variante anaplastica oppure come seminoma spermatocitico
  • Non Seminomi: I tumori non seminomatosi vengono distinti a seconda dell’origine istologica in: carcinoma embrionale, tumori del sacco vitellino o del seno endodermico, coriocarcinoma e teratoma (a sua volta suddiviso in maturo a comportamento benigno e   immaturo, a comportamento maligno).

Nella pratica clinica, gran parte dei tumori germinali sono di tipo “misto”, ossia con caratteristiche istologiche comuni sia ai tumori seminomatosi che a quelli non- seminomatosi; in virtù di una prognosi spesso peggiore., vengono trattati come forme “non seminomatose”.

  • Tumori non germinali: I tumori non germinali del testicolo costituiscono un variegato gruppo di neoplasie rare di derivazione stromale (tessuto connettivo, linfatico e endocrino). Le due forme di maggiore rilevanza clinica sono il tumore a cellule di Leydig e il tumore a cellule di Sertoli. Altri tipi di tumori non germinali del testicolo sono molto rari e comprendono: gonadoblastoma, adenocarcinoma della rete testis, neoplasie mesenchimali, carcinoide, tumore da residui surrenalici.

Diagnosi

La diagnosi di tumore del testicolo si avvale di elementi clinici, laboratoristici e strumentali.

Un ruolo importante lo riveste l’autopalpazione del testicolo: si tratta di una manovra semplice, che permette al paziente di riscontrare precocemente eventuali anomalie ed avviare per tempo il percorso diagnostico-terapeutico necessario. Purtroppo, il tumore del testicolo tende ad essere asintomatico negli stadi iniziali, pertanto una corretta educazione sanitaria con l’abitudine all’auto-palpazione diventa un supporto prezioso per la diagnosi precoce.

I markers di laboratorio (α-fetoproteina, β-HCG e LDH), dosabili mediante un semplice prelievo ematico, sono utili sia per confermare un sospetto di neoplasia, sia nel follow-up post-operatorio per valutare la risposta alla terapia medica e chirurgica. L’ecografia testicolare, eseguita con sonda ecografica lineare (7,5 Mhz), ha una sensibilità prossima al 100% nella diagnosi delle neoplasie testicolari e permette di identificare anche le neoformazioni non apprezzabili alla palpazione.

La TC total-body può essere eseguita prima oppure subito dopo l’orchifunicolectomia (asportazione chirurgica del testicolo e del funicolo spermatico). Risultando utile sia a completamento diagnostico sia ai fini della stadiazione sistemica, in quanto offre la possibilità di studiare nel dettaglio tutti i compartimenti corporei (cranio, torace ed addome) e individuare eventuali metastasi linfonodali e/o viscerali; inoltre viene utilizzata nel follow-up di pazienti con neoplasia testicolare per valutare la risposta alle terapie mediche e chirurgiche successive.

Terapia

Ogni paziente con una massa testicolare sospetta deve essere sottoposto a intervento chirurgico esplorativo che prevede un’incisione inguinale con esteriorizzazione del testicolo ed esplorazione dello stesso e del funicolo spermatico. La chemioterapia e la radioterapia non trovano indicazione come terapia di I linea ma vengono utilizzate a scopo di completamento terapeutico , nella profilassi delle recidive e nel trattamento sistemico in caso di recidiva.

Terapia chirurgica delle forme localizzate al testicolo:

In caso di sospetta neoplasia testicolare, il primo atto terapeutico consiste sempre nella orchifunicolectomia con accesso inguinale, con legatura e sezione separata del funicolo spermatico e del peduncolo vascolare a livello dell’anello inguinale interno. In caso di diagnosi dubbia può essere utile l’enucleazione della lesione, qualora le dimensioni e la posizione lo consentano, per un esame istopatologico estemporaneo e possibilità di asportare solo la lesione sospetta (in caso di neoplasie benigne del testicolo). Al contrario, la biopsia testicolare non va mai eseguita, per il rischio di disseminazione neoplastica.

La Chirurgia conservativa del testicolo o Testis Sparing Surgery (TSS):

Data l’elevata diffusione dell’ecografia testicolare negli ultimi 20 anni è aumentato esponenzialmente il numero di diagnosi, spesso incidentale, di piccole masse testicolari ovvero neoformazioni di dimensioni < 20 mm) che, secondo i dati disponibili in letteratura, risultano benigni in oltre l’80% dei casi.

Questo dato epidemiologico ha spinto sempre più chirurghi a pensare che l’assioma, tipico degli anni passati: “Tutte le masse solide del testicolo vanno considerate come maligne fino a prova contraria e richiedono un trattamento radicale (orchifunicolectomia)”, fosse eccessivo ed esponesse ad un rischio di overtreatment, con effetti negativi postchirurgici dal punto di vista della fertilità e della produzione del testosterone.

Pertanto, la chirurgia conservativa (TSS) è sempre più diffusa nei centri Uro-Andrologici all’avanguardia. Questo nuovo approccio chirurgico prevede, dopo l’esteriorizzazione del testicolo mediante accesso inguinale, un accurato isolamento e successiva escissione del nodulo testicolare, che viene inviato per esame istologico estemporaneo intra-operatorio. In questo modo il testicolo, in caso di massa benigna, può essere preservato, garantendo dei migliori risultati in termini funzionali ed evitando il discomfort psicologico ed estetico derivante da una chirurgia demolitiva.

Il team di Andrologia Bologna, ha recentemente raccolto i dati di uno studio multicentrico con una casistica di 150 pazienti trattati con TSS. Lo studio ha confermato la corretta indicazione della tecnica utilizzata in quanto l’85% delle lesioni sono risultate benigne e l’esame istologico intraoperatorio è stato accurato al 99,3%; nei casi di malignità, l’esecuzione di contestuale orchifunicolectomia non ha esposto i pazienti a maggiore rischio di metastasi in quanto tutti i 21 pazienti (affetti da seminoma classico iniziale – stadio I) sono liberi da malattia a 24 mesi dall’intervento senza necessità di ulteriori terapie.

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